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Avatar di Gastroillogica

Ho lasciato una “carriera” (in commissione UE) per avere un “lavoro” remoto (perché devo finire di pagare il mutuo), che mi permette di lavorare poco, e da dove voglio, e mi lascia molto tempo per scrivere e fare altro (sono tornata all’università).

Tra un paio d’anni, una volta pagato il mutuo, smetterò anche quello e finalmente potrò fare cose utili: “lavorare”, si, ma nel volontariato, o fare lavori a minima retribuzione ma pieni di senso civico, fare finalmente politica attiva, continuare a scrivere.

Soprattutto, non dovermi mai più preoccupare di partecipare al carosello turbo capitalista e non dover sentire mai più parole come telemetria e algoritmi.

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Avatar di Stefano

Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie . Ungaretti parlava di guerra. Le sensazioni che sento/sentiamo sono simili.

A volte la poesia aiuta!

A volte.

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Avatar di Davide Etzi

Arte, poesia, meditazione, apprezzamento della bellezza. Tutto è davvero d’aiuto. Qui però ci sarebbe bisogno di un intervento sistemico e globale che vedo sempre più utopico dal momento che abbiamo consegnato letteralmente il mondo in mano a delle società di gestione patrimoniale, finanziaria e di investimento che posseggono quote delle più importanti realtà sui cui scriviamo, ci informiamo, mangiamo, ci facciamo governare e ci illudono che abbiamo del potere decisionale.

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Avatar di Alice Fadda

Potrei dire che è stato l’algoritmo a mettermi davanti questa newsletter, ma preferisco pensare sia stato il caso. Vengo proprio da una discussione con delle amiche che con una rendita mensile lascerebbero il lavoro. Io invece non lo lascerei: mi sono sempre detta che se dovessi vincere al Superenalotto continuerei a fare il mio lavoro, che mi sono costruita addosso e che mi fa stare bene. Le ansie che vivo sono legate al mercato del lavoro, all’economia, alla precarietà. Ma la colpa non è del lavoro ma del sistema. Ti ringrazio davvero perché avevo proprio bisogno di un’analisi come questa.

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Avatar di Davide Etzi

Ciao Alice! La tua riflessione coglie perfettamente il punto centrale dell'analisi: non è il lavoro in sé a essere in crisi, ma il sistema e il paradigma che lo governa. Quando dici che il tuo lavoro "te lo sei costruita addosso e ti fa stare bene", stai descrivendo esattamente quella convergenza tra autonomia, padronanza e purpose che crea benessere autentico.

Mi piacerebbe sapere cosa rende il tuo lavoro così significativo per te. Quali sono gli aspetti che ti hanno permesso di costruirlo "addosso" a te, in modo che rispecchi la tua identità e i tuoi valori? La tua esperienza potrebbe essere preziosa per altre persone in cerca di quella stessa connessione. Io invece ringrazio te per aver condiviso le tue riflessioni, sono proprio questi scambi che rendono significativa la mia presenza qui.

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Avatar di Lisan al-Ghaib

Posso confermare che hai centrato il punto.

Sono uno di quelli che ha “attraversato la soglia” lasciando un lavoro economicamente soddisfacente, ma ormai privo di scopo esattamente per le motivazioni esposte.

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Avatar di ben ton

Ciao Davide, innanzitutto grazie per questa riflessione. L'ho subito condivisa con una collega (e soprattutto amica) con cui abbiamo un dialogo aperto su questi temi da molto tempo e su base pressoché quotidiana. Il commento che segue è una sintesi del nostro scambio dopo la lettura del tuo testo.

L'inquietudine è reale, la crisi è condivisa, e anche giustificata da un contesto/sistema estremamente problematico e che si sta dimostrando sempre più incapace di dare senso e nutrimento all'esistenza umana.

Ci sembra che ci sia sempre più lucidità e consapevolezza (evviva!) nella diagnosi e analisi, ma continuiamo ad avere molte difficoltà nella prognosi e cura.

Se un modello esistenziale/economico/politico è profondamente sbagliato e contrario a quello che l'essere umano percepisce come senso, ci sembra che uscirne e cambiarlo come società sia "la cosa da fare", e ogni giorno che passiamo ad abituare il nostro cervello a conviverci alla meno peggio o a trovare le nostre nicchie di felicità, sia un giorno con le energie indirizzate nella direzione sbagliata.

Come uscirne a livello collettivo e sistemico, come società e non come individui? È possibile? E se sì qual è la strada?

Quando poi arriviamo a queste domande, io mi sento disorientata, confusa, anche piuttosto impotente. Come si fa a conservare un po' di speranza? Forse la risposta alle domande precedenti è NO e l'unica alternativa è (come propone Franco Berardi) disertare?

Condivido questo commento non perché mi aspettassi di trovare risposte a questioni così complesse in un post Substack, ma perché mi piacerebbe continuare questa conversazione (anche con chiunque voglia aggiungere qualcosa), visto che hai inquadrato così bene il tema.

Grazie a chi leggerà fin qui.

Benedetta

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Avatar di Davide Etzi

Ciao Benedetta,

leggere il tuo commento è stato come ricevere una eco lunga e precisa di tutto quello che sento quando chiudo una sessione e partono queste riflessioni.

Grazie per aver dato voce non solo alla tua riflessione, ma anche a quella di chi si prende il tempo di parlare di tutto questo ogni giorno, con serietà e senza scorciatoie. Già solo questo è un atto rivoluzionario.

Credo che non ce lo stiamo dicendo abbastanza, intendo in modo pubblico. E no, non credo che trovare un rifugio personale, le famose nicchie di senso, micro-comunità, una relazione buona, sia una fuga, ma credo sia una forma di diserzione attiva.

La chiave di sicuro non è cercare soluzioni da soli, non credo che usciremo da questo pantano come individui che si salvano in autonomia, ma come sistema che ricomincia a sceglie insieme. Il tema è che purtroppo questo parte da scelte individuali.

Guarda che viviamo in un enorme paradosso, perchè una delle malattie più gravi del sistema è proprio questa: l’illusione che la salvezza sia individuale. E invece la soluzione è in una prassi collettiva. Non è un sentimento, è un esercizio continuo di costruzione che parte (ecco il paradosso) da scelte consapevoli individuali che sembrano non avere effetto e eco (ma invece ce l'hanno). Dire ad esempio: io questa cosa non la voglio più fare così. Più "no, per amazon lavoraci tu"; "no quel prodotto non lo compro", "no quel trend non lo seguo", "no quella roba non la mangio", "no, con questa realtà non ci collaboro", "no, questo sistema di certificazioni e ricatti non mi avrà mai", etc.

Se disertare significa smettere di obbedire ciecamente, allora ben venga.

Ma la mia speranza è che, una volta disertato, ci mettiamo anche a costruire.

Il problema che noto è che nel senso comune "disertare" va troppo confuso con "disimpegno" e invece ci vuole esattamente l'opposto: più studio, più informazione, più impegno, più SCELTE deliberate.

Mi è piaciuto quello che hai scritto, Benedetta.

Davide

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Avatar di Emanuel Benedetti

Complimenti per il post, lo condividerò su Linkedin. Veramente interessante !!!

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Avatar di Davide Etzi

Grazie mille per l'apprezzamento, Emanuel. Sono anche su LinkedIn, taggami e connettiamoci, se ti fa piacere.

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Avatar di Angelo Nunnari

Tutto molto bello, ma le preferenze politiche dei giovani sono spostate verso l'estrema destra e una parte più che proporzionale rispetto alla media, verso la destra ultraliberista. Mi sembra si parli di una nicchia, non trascurabile, ma pur sempre nicchia. Un fenomebo peraltro che con forme diverse esiste dai tempi di Lucrezio (De rerum natura) e dell'alienazione marxiana, che però nella dimensione collettiva della fabbrica e della staticità verticale poteva offrire strumenti collettivi di lotta.

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Avatar di Giacomo

Questo disagio lo sento da qualche anno. Io lavoro come operaio in una azienda metalmeccanica. É mi pesa non avere tempo da dedicare alle mie rose al giardino alla famiglia o fare la spesa con calma . É quello ché hai scritto lo provo sulla mia pelle, un circolo vizioso ché non si esce.

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Avatar di Andrea Girolami

Complimenti, bel post e bella riflessione

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Avatar di Davide Etzi

Grazie per l’apprezzamento, Andrea! Fenomenologia diretta dal “campo”.

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Avatar di Marzia Manni

Ti scrivo da un punto di vista più umile diciamo, faccio la barista, il mio lavoro è su turnazione,lavoro le feste,lavoro quando gli altri ancora dormono…Quando ho iniziato circa 25 anni fa il mio lavoro era a tutti gli effetti uno schiavismo legalizzato( e anche male) soprattutto nel privato. Le grandi aziende davano sicuramente più tutele e salari migliori. Dopo 25 anni le cose sono cambiate e moltissimo, mio marito che lavora per una multinazionale sull’autostrada si sente privato della sua vita, schiavizzato e trattato peggio di un calzino abbandonato,io invece che sono in una piccola realtà imprenditoriale ma ridimensionata e adesso diciamo più legalizzata, sto finalmente bene. C’è da dire che io lavoro part time, quattro ore al giorno e ho molto tempo libero che ad oggi è il vero lusso. Io sono convinta che se tutti lavorassero part time sarebbe la svolta. È vero si guadagna meno, si hanno meno contributi ma se durante la tua vita “ lavorativa” non hai tempo ed energie da dedicare alla vita “ vera” che senso ha lavorare e guadagnare bene? E per tornare al discorso della differenza tra grandi aziende e piccole credo che le multinazionali ( il nome non lo scrivo ma credo che tutti abbiano mangiato da loro un camogli nella vita) siano il male assoluto della nostra società! Pensano solo ai loro guadagni,come sanguisughe ti spremono la vita, non gliene frega niente delle tue problematiche personali. Il vero traguardo è trovare un equilibrio tipo la settimana corta dov’è non è possibile fare i turni, anche se credo che anche fare i turni darebbe una ventata di cambiamento! Gli uffici aperti da lunedì al venerdì, tutto il giorno, e poi hai solo quei due giorni in croce per goderti la vita imbottigliato insieme ad altri milioni come te.. invece se gli uffici avessero i turni si creerebbero posti di lavoro e flessibilità! Immaginate di avere il la mattina libera un lunedì e andare a fare una visita senza dover chiedere un permesso o un giorno di ferie..( ho talmente tanti giorni di permesso non presi che le ferie mi si raddoppiano durante l’anno)

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Avatar di Valentina R.

Grazie per questa riflessione. Per me è stata letteralmente una boccata d’ossigeno e per un attimo mi sono sentita più leggera e meno ‘sbaglita’ o ‘disadattata’.

Senza accorgermene è da anni che lotto contro il sistema e annaspo alla ricerca di senso. E propio quando ho pensato di aver trovato un lavoro che mi fa sentire utile ecco che scontrarmi con un sistema che non valorizza le competenze e l’extra lavoro e che spesso riduce tutto ad un dato mi fa crollare il mondo addosso. E sono settimane che non trovo l’energia di fare e mi sento davvero senza speranza. E nella mia bolla mi sembra di essere da sola. Ma ora mi sento un po’ meno sola…🥲

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Avatar di Angelo Nunnari

Tutto molto bello, ma le preferenze politiche dei giovani sono spostate verso l'estrema destra e una parte più che proporzionale rispetto alla media, verso la destra ultraliberista. Mi sembra si parli di una nicchia, non trascurabile, ma pur sempre nicchia. Un fenomebo peraltro che con forme diverse esiste dai tempi di Lucrezio (De rerum natura) e dell'alienazione marxiana, che però nella dimensione collettiva della fabbrica e della staticità verticale poteva offrire strumenti collettivi di lotta.

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